Il funambolo

Il funambolo

Dentro l’anima
ricordarsi che il filo
ha un termine stabilito
nel passare del tempo,
tra circhi e tendoni
l’andatura del ballo
diviene silenziosa.
Furioso angelo senz’ali
avanza verso la meta
con un giro di vite
sinuoso e leggero,
il vento sussurra piano
le sue realtà capovolte
dai battenti della follia
e come vuoto a perdere
cammina tra le nuvole.

Maria Gemma Bonanno

L’immagine del funambolo descrive compiutamente, come metafora, l’esperienza delle scrittrici e degli scrittori autobiografi.

Richiama il senso di questo percorso suggerendo la costante e rinnovata ricerca di un equilibrio sempre precario sulla fune tesa sopra il vuoto, sovrastando il flusso dell’esistenza stessa. Con un’andatura impercettibile il funambolo avanza, come un’eroina o un eroe in lotta contro l’inesorabile scorrere del tempo, raffigurato dalla fune tesa sul vuoto che segnala un termine stabilito nel suo punto estremo.

Il desiderio di attribuire un senso alla precarietà che contraddistingue la nostra condizione umana muove i passi del funambolo, sospinto dalla speranza di essere alterabile rispetto al momento in cui ha intrapreso il suo viaggio tra le nuvole. Non un vuoto a perdere, un contenente senza un contenuto, ma un viaggiatore in grado di alterarsi come soggetto in quanto essere di consapevolezza e coscienza di sé e del mondo.

La fune sulla quale procede il funambolo mette in evidenza ciò che è straordinario nell’uomo, e «ciò che è grande nell’uomo è l’essere un ponte e non una meta» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra). Il ponte rappresenta simbolicamente quel percorso attraverso il quale intraprendiamo l’avventura del viaggio nella scrittura autobiografica, è un simbolo di demarcazione dolorosa del percorso verso il raggiungimento di nuove consapevolezze che danno forma a una nuova presenza di sé al mondo.

Queste parole ci aiutano nuovamente a cogliere il senso di un percorso, messo in relazione con lo stato d’animo associato al cambiamento e alla trasformazione interiore, questo voler vivere in cammino e in mutamento, nel senso di un passaggio lento e progressivo da uno stato d’animo a un altro.

Un processo di alterazione nel corso del quale la persona cambia, risignificando a posteriori quello che ha vissuto, che ha sentito e provato, facendo l’esperienza della presenza dell’altro che è in noi, introiettato nel corpo autobiografico che trasforma la vita in un’opera d’arte, nella forma estetica della scrittura di sé.

Il funambolo è pertanto una figura eroica e tragica al tempo stesso, metafora di una presa di coscienza e di una consapevolezza di sé rispetto al proprio percorso, all’avanzare sopra l’abisso. Si ritrova da solo con il mondo, confrontandosi con la sua angoscia esistenziale, assumendosi il rischio di precipitare nel vuoto e attribuendo all’arte dell’autobiografia la possibilità di contribuire alla creazione del senso del vivere quotidiano e dell’esistenza.

Il mio sentimento, fondato sull’esperienza di questi anni, è che questa metafora sia pertinente con il senso del percorso delle scrittrici e degli scrittori autobiografi in quanto prefigura, parafrasando le parole di Zarathustra, delle donne e degli uomini in grado di trasformare quella fune in una corda dell’amore tesa verso il lato opposto del loro cammino, verso quell’orizzonte che si apre tuttavia all’altro da sé piuttosto che annunciare il superamento dell’uomo stesso.

La rifigurazione dell’esperienza temporale, dare una nuova forma al tempo vissuto mediante il racconto, ha la capacità di rivelare e di trasformare le narrazioni evocate e accostate all’agire e al patire quotidiano.

Le scrittrici e gli scrittori autobiografi, accettando e portando in sé il caos dell’esistenza, intraprendono un viaggio nell’anima orientati dall’amore alla ricerca di sé e di senso, riconciliando temporalità e ritmi diversi, tempi e spazi conosciuti e ignoti, facendo ricorso a una scrittura meticcia attraversata dall’altro da sé.

Diventare i biografi della nostra storia, riorganizzare e ricreare le connessioni che danno forma alla tela di fondo che possiamo comporre, prendendo le distanze dagli eventi e dalle passioni che abbiamo vissuto, ci permette di rappresentare la nostra storia per attribuire un senso o una direzione al nostro vissuto, per rifigurare la nostra stessa esistenza.

Il lavoro di rifigurazione del funambolo, attenuando la distanza con l’altro da sé e accentuando la simultaneità delle dimensioni biologiche e psichiche, sociali e spirituali, come mi suggeriva fin dal primo momento questa mia esperienza di accompagnamento alla narrazione e alla scrittura autobiografica, attribuisce una nuova forma allo spazio esistenziale e simbolico dell’essere umano.

La scrittura autobiografica in quanto spazio poetico, luogo dell’incontro e della relazione con sé stessi, gli altri e il mondo, reincanta le dimensioni profonde del sé e ristabilisce i legami tra il micro cosmo e il macro cosmo13 attraverso la nostra individuazione in seno al mondo, nella reciprocità delle pulsioni soggettive e delle intimazioni oggettive della società e del cosmo.

La metafora del funambolo ci permette in sostanza di cogliere l’esperienza della scrittura autobiografica e di comprenderla come un processo dinamico di trasformazione, un esercizio funambolico di consapevolezza e coscienza che incarna la figura di un eroe tragico contemporaneo14. Il desiderio di dare forma e rifigurare la nostra esistenza come esperienza etica, sostenuta dal desiderio di riconoscere e comprendere sé stessi e l’altro da sé, ed estetica, sostenuta dal desiderio di riconoscere e comprendere sentimenti ed emozioni comuni alla nostra condizione di donne e uomini nel mondo, non è più marginale alla vita quotidiana.

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