Riportare al cuore la narrazione

Kapuściński
«Il dubbio, il tatto dei propri limiti, l’umiliazione di veder sacrificato un lavoro tanto faticato, ma soprattutto l’angoscia di non arrivare a passare vere emozioni è e sarà la fiamma del tuo mestiere, e di tutti coloro che vivranno sempre da buoni giornalisti.» Ryszard Kapuściński (1932-2007)

Quel bisogno che sento crescere intorno, proprio a partire dal mio impegno creativo con il progetto degli Ateliers dell’immaginario autobiografico dell’Organizzazione di Volontariato Le Stelle in Tasca, sta rendendo visibile e fa maturare sul territorio una sensibilità e una particolare attenzione alla narrazione, ad un ascolto sensibile di sé e dell’altro. La mia riflessione sul tema del numero monografico dedicato al giornalismo narrativo pubblicato in M@GM@, rivista internazionale di scienze umane e sociali, oltre ad essere fondata sulle competenze maturate nell’ambito dell’accompagnamento e della formazione alla narrazione e alla scrittura di sé, ha attinenza con il mondo sociale contemporaneo, con la vita delle donne e degli uomini, tutte e tutti partecipi della comunità umana in generale.

Cosa emerge da questo sociale? Un’esigenza sentita e diffusa che colgo nell’accompagnare gli altri a fare l’esperienza della narrazione e della scrittura di sé, quella di persone comuni che desiderano raccontarsi e raccontare agli altri la propria storia, mettendosi in cerca di sé e di senso condividendo emozioni e sentimenti. Ecco, allora, che, restituendo il diritto di cittadinanza all’emozione, riportiamo il cuore nell’analisi di tutto, contribuendo a delineare un nuovo orizzonte per le strategie redazionali che si integrano in modo innovativo alla narrazione letteraria, riconoscendo che la comprensione della realtà non è inficiata dalle emozioni, e tracciando quel nuovo giornalismo la cui narrazione deve rendere conto di storie concrete e temi legati all’esistenza umana.

Il futuro di un giornalismo nuovo risiede altresì nella capacità professionale di avviare una inedita collaborazione con questo pubblico, caratterizzato da lettrici e lettori più attenti e sensibili alla narrazione che diventa racconto di una umanità complessa e multiforme. Le lettrici e i lettori, oltre a ciò, non subiscono passivamente il testo ma interagiscono in modo attivo. Formando la loro conoscenza su fonti differenti e diversificate rispetto al passato, il loro rapporto con il testo, mediato dalle proprie esperienze di vita, dalle letture precedenti e dalla propria immaginazione, sollecita un processo di completamento di senso che coglie in modo empatico emozioni e valori suscitati dalla struttura del testo e supportati dall’interazione tra autore e lettore.

Se il giornalista vive ed elabora la prossimità e l’implicazione personale, come nel caso del reportage giornalistico, quella distanza critica che gli permette di garantire al suo racconto un’affidabilità fattuale, permane anche nella narrazione letteraria. Adottare il ruolo dell’osservatore distaccato significa fare assumere all’autore e al lettore una certa distanza, riportando il cuore nell’analisi e sostenendo uno sguardo sul mondo che si vuole al tempo stesso esterno e soggettivo. Si tratta di uno sguardo dall’alto.

Eppure, se di giornalismo nuovo si tratta, non fatto alla vecchia maniera, la scrittura che si sperimenta non si vuole oggettiva e obiettiva, non rappresenta soltanto dei fatti ma assume su di sé il dubbio della ricerca e della soggettività, sollevando questioni e suscitando riflessioni attraverso la narrazione di esperienze che cambiano il modo di interpretare gli eventi. Mantenere uno sguardo dall’alto non significa quindi non andare in profondità, al contrario, bisogna scavare nelle emozioni e nei pensieri delle persone.

Il rapporto tra giornalismo e scrittura, una scrittura al femminile e al maschile nella storia della scrittura delle donne e degli uomini, è un ulteriore spunto di riflessione che andrebbe approfondito in modo specifico, e questa considerazione ci permette di tenere presente che non esiste un modello di scrittura universale, indipendente dal genere e dalle nostre rappresentazioni e predisposizioni sociali e culturali. Ma quello che maggiormente mi interessa mettere in rilievo, è la prospettiva di un nuovo giornalismo che ribalta gli stereotipi sociali e riflette sulle fragilità umane, esplorando al tempo stesso nuove modalità di ricerca con tempi differenti rispetto al giornalismo tradizionale.

Le nuove generazioni di giornalisti e le strategie che adottano per reinventare il giornalismo, devono associare il giornalismo narrativo ai metodi qualitativi delle scienze umane e sociali, dotandosi di tempi differenti che permettano di fare ricerca di terreno. Il giornalismo narrativo, quindi, non soltanto ribalta gli stereotipi sociali ma si avvicina enormemente alla scienze umane e sociali. Ed è questa la prospettiva fondante che può originare un rinnovamento e una reinvenzione della pratica della narrazione giornalistica finalizzata a: raccontare l’alterità attraverso i dettagli che permettono di ricostruire la realtà; elaborare la narrazione in quanto punto di vista sul mondo dove l’emozione ha diritto di cittadinanza; stimolare l’immaginario e il dibattito sociale. Se prendere in contropiede la velocità, i tempi del giornalismo dominante, dipende ugualmente da una responsabilità politica e sociale della cultura, coniugare la scrittura alla ricerca di terreno dipende altresì da una responsabilità della formazione professionale che sappia coniugare approcci anche etnografici e sociologici per concepire un nuovo giornalismo narrativo.

Orazio Maria Valastro, Riportare al cuore la narrazione, in O. M. Valastro e Rossella Jannello, Giornalismo narrativo, M@gm@ Rivista internazionale di scienze umane e sociali, vol. 13, n. 1, 2015.

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