Narrazione e scrittura di sé come forma di resistenza

Narrare e scrivere di sé ci permette di dare forma alla nostra esperienza sociale e spirituale, rappresentandola e condividendola, generando nuove consapevolezze sul nostro percorso personale e collettivo rispetto alla comunità di cui facciamo parte o aspiriamo esserne partecipi, per un breve o lungo periodo della nostra vita, rinnovando la condizione a partire dalla quale immaginiamo il nostro divenire.

Facendo l’esperienza della narrazione e della scrittura di sé, autorizzandoci a far diventare la nostra storia oggetto del nostro pensiero, possiamo inoltre considerare una pluralità di visioni e immaginari sociali che acquistano cittadinanza concreta, narrazioni degne di essere narrate e recepite, contro qualunque monoteismo delle narrazioni e delle storie legittime e legittimate da criteri estetici, norme e convenzioni sociali imperanti.

L’esperienza della narrazione e della scrittura di sé, pertanto, possiamo concepirla come una forma di resistenza contemporanea[1], una forma d’opposizione alla rigidità dei saperi e delle pratiche sociali istituite, capace di introiettare in modo sensibile, di accogliere in sé una pluralità di vissuti e di storie, e di rendere partecipe e riconciliare le rappresentazioni del mondo con la dimensione spirituale, emotiva, poetica e creatrice, delle donne e degli uomini.

Narrare e scrivere di sé, come possibilità di auto formazione esperienziale, è un’occasione per sostenere uno spazio di autonomia e libertà della persona che può renderci maggiormente coscienti e consapevoli delle nostre disposizioni sociali e del nostro modo di essere, facendo inoltre coesistere esistenzialità della persona e visioni differenti del mondo, alimentando la totalità della persona sensibile come presenza meditativa e coscienza di essere e di esserci nel mondo in un certo modo.

L’incontro con alcune persone sofferenti di una particolare malattia cronica[2], mi ha inizialmente orientato a ravvisare nel desiderio di raccontare se stessi, modalità di ristrutturazione della nostra identità alterata dalla malattia, l’esigenza dell’altro come elemento di mediazione per sostenere questo desiderio e ripristinare un processo narrativo che contrasti la chiusura in se stessi. Il colloquio terapeutico, valenza riconosciuta nella pratica medica, è infatti molto spesso relegato ad un semplice supporto benefico nella relazione tra il medico ed il suo paziente, conservando il rilievo che assume il potere del medico in una relazione molto spesso a senso unico. Se l’azione terapeutica cerca di favorire una resistenza alla malattia cronica, associata anche alla difficoltà del malato nel raccontarsi, è necessario sostenere la persona nel ripensare la sua esperienza e il significato attribuito alla sua malattia ed alla sua stessa vita, poiché la sofferenza e la malattia diventano un punto di rottura nella narrazione di sé.

Un’esperienza successiva[3], una ricerca sui luoghi d’aggregazione e la notte nel vissuto dei giovani, mi ha dato ulteriori opportunità per riflettere sulla narrazione di sé come forma di resistenza. L’immaginario sociale della notte, vissuto non come uno spazio sociale dell’irreale e dei sogni, è spazio vitale e consapevolezza di privazione di quei desideri che non possono trovare concretezza nel mondo diurno. La disponibilità e il piacere nel narrare di sé, confidando nella mediazione dell’altro per ripensare la propria esperienza, si palesa come una forma di resistenza al mondo diurno, rappresentato come una società dominata dalla scienza tecnologica e dal conflitto: ricusando una rappresentazione della notte come luogo di oscurità e disorientamento, sostenendo nell’attesa del giorno vissuta nella condivisione emozionale, la promessa di un nuovo divenire.

Le storie di vita sull’esperienza omosessuale[4] mi hanno ulteriormente confrontato con la violenza delle istituzioni e la necessaria resistenza per reagire, o tutelarsi, nell’incessante processo di elaborazione di una identità personale che vacilla sotto le continue tensioni delle norme istituite e della cultura sociale dominante. Rispetto alle norme costituite ed ai comportamenti conformi a orientamenti etero sessuali, la narrazione di sé sostenuta dall’altro è un altro esempio di forma di resistenza che cerca di elaborare e riformulare pratiche vissute e nuove forme di modelli sociali di convivenza e orientamento sessuale che rimodellano l’istituito.

Queste esperienze e riflessioni mi hanno guidato a ravvisare nel desiderio di narrare e scrivere di sé, un’esperienza rappresentativa di una forma di resistenza che contrasta l’istituito sostenendo l’incontro con se stessi e con l’altro. Uno spazio possibile d’incontro che ha la possibilità di andare oltre una visione riduttiva dell’esistenza, integrando le dimensioni spirituali, emotive, corporee, cognitive e creatrici delle donne e degli uomini, con la speranza di generare nuove solidarietà e reciprocità.


[1] Orazio Maria Valastro, Narrazioni e scritture di sé come forma di resistenza, «Paesaggi di resistenza», Associazione Iniziativa Europea, Trieste, Hammerle Editori, 2008, pp. 42-50.

[2] Interviste biografiche di pazienti del Servizio di Gastroenterologia dell’ospedale Rothschild di Parigi, sul vissuto di una specifica patologia cronica; La malattia cronica e la sua costruzione sociale: rappresentazioni e conseguenze sociali della malattia di Crohn nel vissuto quotidiano dei malati, Unita di Formazione e Ricerca in Scienze Sociali, Sorbona, Università René Descartes, 1995, 136 p.

[3] Interviste biografiche realizzate e curate nell’ambito del progetto nazionale i Percorsi della notte; Mario Pollo, I giovani e la notte, Lecce, Milella, 1997, 320 p.

[4] Storie di vita sociali approfondite; La condizione omosessuale come processo conflittuale di elaborazione dell’identità sessuale: un’analisi del vissuto omosessuale nella Sicilia orientale, La Critica Sociologica, 1999, p. 63-73.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *