L’immaginario golemico dell’alterazione

 

Mikhail Magaril (Steve Sanfield, The feather merchants: and other tales of the fools of chelm Illustrations by Mikhail Magaril)

Se riconosciamo nell’alterazione uno dei fondamenti dell’educazione, un processo dal quale possiamo cambiare, quest’ultimo non consiste nell’ambizione di dominare l’altro visto come limite inquietante ai nostri fantasmi di onnipotenza, ma è piuttosto una sorta d’introiezione della presenza dell’altro in noi e nella scrittura di sé. Ciò che è altro diventa parte consapevole del corpo autobiografico, della narrazione di sé attraverso la scrittura, e il nostro stesso essere altro ci permette di sollecitare un’autocoscienza riflessiva per vivere interiormente, sollecitando un movimento dinamico dove la nostra stessa identità è fondamentalmente alterazione.

Il dispositivo di accompagnamento alla scrittura autobiografica, come dispositivo clinico di terreno, è conseguentemente strutturato per sostenere la possibilità di fare l’esperienza della relazione, dell’alterità e della reciprocità, caratterizzandosi inoltre come un dispositivo di apprendimento attraverso l’immaginario che orienta la messa in forma di sé. Se la cerca fondamentale dell’educazione è la ricerca, l’esperienza della scrittura di sé è in primo luogo questa cerca vitale di sé e di senso, e l’accompagnamento alla narrazione e alla scrittura della propria storia è una formazione alla ricerca di valore alla vita e all’esistenza. Il dispositivo pedagogico di accompagnamento può definirsi quindi come un dispositivo di alterazione.

Un dispositivo pedagogico di alterazione è un percorso e un processo, dove la creazione autobiografica narrativa permette di fare l’esperienza della dissociazione. L’immaginario golemico che orienta la creazione di un’opera testuale interpella le inquietudini suscitate dalla trasformazione nel movimento della scrittura della nostra vita e del nostro essere presenti agli altri e al mondo, alterandosi in un percorso d’iniziazione alla creazione e al mistero della vita.

L’esperienza della dissociazione è insita nella creazione autobiografica:

  1. a) la dissociazione tra l’autore e la sua opera, una coesistenza posta su piani nettamente differenti;
  2. b) il continuum dissociativo dell’identità narrativa, un’identità che si altera nella presenza poetica della scrittura;
  3. c) la dissociazione tra il soggetto che scrive e il soggetto che è scritto, tra tempo della narrazione e tempo rappresentato;
  4. d) la dissociazione estatica, la capacità di elevarsi al di sopra del flusso dell’esistenza.

La scrittura di sé, spazio d’incontro delle donne e degli uomini con l’alterità nel momento in cui fanno l’esperienza del dispositivo di dissociazione, sollecita le dimensioni mitiche e storiche, simboliche e esistenziali della narrazione umana. L’esperienza della relazione e dello scambio, di una coesistenza che trascende l’individuo e che fonda l’essere insieme, lungo il percorso che ci porta dalle profondità dell’intimità al desiderio di andare oltre se stessi per ritrovare l’altro nella reciprocità e nell’amore, accompagnano una dissociazione estatica, uno stato di trascendente immanenza che situa l’alterità nel corpo autobiografico attraverso la creazione autobiografica narrativa.

Orazio Maria Valastro, L’imaginaire golémique de l’altération: socioanalyse de la création autobiographique narrative, intervento al convegno «Cultures et éducation: recherches, utopies, projets (théories et pratiques)», AFIRSE – Associazione Francofona Internazionale di Ricerca Scientifica nell’Educazione, Università del Salento, Lecce, 21-22-23 maggio 2015.

One thought on “L’immaginario golemico dell’alterazione

  1. Ha scritto Davide Rondoni: “La poesia non esiste, esistono le poesie. Cioè opere in cui l’uomo dice, balbetta, grida, mormora, compone a nostalgia del suo cuore, e lo stupore duro dell’esistere.” Ritengo che l’esperienza autobiografica nella mia scrittura poetica, ben lungi dall’essere astrazione esistenziale, non sia tanto orientata “alla cerca vitale si sé e di senso”, bensì alla “recherche” di una direzione: laddove “ci sia traccia inespressa di noi, occasione” (Ivan Fedeli). Nel sistema apparentemente chiuso dell’immoto ciclo stagionale, la mia esperienza si interroga in realtà sulle presenze e sulle mancanze (e in questo caso i morti sono più permanenti di noi), sulla necessità di narrare, sulla vita delle cose. Se è vero – come è vero – che “l’esperienza della dissociazione è insita nella creazione autobiografica” e che “la creazione di un’opera testuale interpella le inquietudini suscitate dalla trasformazione nel movimento della scrittura della nostra vita e del nostro essere presenti agli altri e al mondo, alterandosi in un percorso d’iniziazione alla creazione e al mistero della vita” non è per me possibile prescindere dal Tempo, che scocca la sua freccia e mette a nudo le ferite. E’ un procedere a tentoni, senza punti cardinali, uno scricchiolio che strazia e sgomenta: non si spiega né spiega, non rinuncia al Mistero.

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